giovedì 1 agosto 2013

La piramide del caffè, di Nicola Lecca

Salve a tutti,
oggi vi scrivo per condividere con voi il mio pensiero riguardo La piramide del caffè, romanzo di Nicola Lecca. Prima però vi faccio una breve introduzione per spiegarvi come questo libro sia fortunatamente finito in mano mia.
Dovete sapere che il mio comune mi ha contattato per chiedermi prender parte alla giuria popolare del premio Fenice Europa. Io ho accettato ben volentieri e mi sono impegnata a portare a termine il mio dovere, leggendo tutti e tre i libri finalisti, dalla prima all'ultima pagina, decretando quello che preferivo soltanto dopo. Ci tengo a sottolinearlo in quanto in molte occasioni come questa, i giurati non leggono tutti i libri, finendo per falsare il giudizio finale. A me dispiacerebbe se accadesse con un mio libro, perciò la coscienza non mi permette di fare una cosa simile alle opere di altri.

Ovviamente non vi dico a chi è andato il mio voto, mi limiterò soltanto a parlarvi un po' di questo libro, con la speranza di incuriosirvi tanto da spingervi a seguirmi nella lettura! Provvederò a recensire anche gli altri due finalisti. :)
Ma torniamo a La piramide del caffè di Nicola Lecca.

Se avessi dovuto esprimere i miei pensieri a caldo, subito dopo aver chiuso il romanzo, l'avrei definita una fiaba del ventunesimo secolo. Non ci sono principi e principesse, né romantiche storie d'amore, tranquilli.
E' solo che io ho sempre considerato la fiaba come un genere letterario che aiutasse a sognare, a non perdere la speranza nel conseguimento degli obiettivi, più o meno impossibili, che ci siamo prefissati nella vita. Ebbene, questo è stato l'effetto!

Prima di continuare a motivarvi la mia impressione, vi do qualche accenno di trama, giusto per farvi capire di cosa stiamo parlando. Ma non sperate che vi sveli più del dovuto! ;)
Imi è un orfano ungherese che, compiuti i diciotto anni, decide di acquistare un biglietto per il Regno Unito; o meglio, decide di acquistare un biglietto per la terrà della libertà, della giustizia e dei sogni realizzabili. Eh sì, l'Inghilterra rappresenta questo nella mente ingenua del giovane. Imi ha patito la fame e la povertà, riuscendo a trarne insegnamenti importanti, consapevolezze che lo renderebbero molto più maturo di qualunque ragazzo della sua età. Ciò che lo tiene ancorato alla sua adolescenza, è la trasparenza, il modo di ragionare diretto e senza doppi sensi. La semplicità di Imi è disarmante. Eppure questo lato di sé, lo aiuterà o lo ostacolerà nella sua nuova vita?

Arrivato nel Regno Unito, Imi inizia a lavorare presso la Proper Coffee, un incrocio tra una caffetteria e un fast-food. Tutti i dipendenti sono uguali, così come tutti i clienti. Non si possono fare favoritismi né prendere iniziative che non rispettano le nozioni precisamente raccolte nel Manuale del Caffé, che viene donato a ogni dipendente. Chi lavora bene, rispettando le regole, può addirittura ottenere dei premi. Chi si comporta male e fa di testa sua, se ne torna a casa. Tutto chiaro e ragionevole nella mente di Imi, che non riesce a placare l'entusiasmo per la nuova vita che sta per cominciare.

Come spesso accade, però, la realtà è molto differente da quello che vogliono farci credere. Imi si imbatterà in un sistema che è completamente opposto al suo modo di essere. E' forse lui ad essere troppo ingenuo e sognatore? O è l'organizzazione della Proper Coffee ad essere completamente disumana?
Si tratta di una convivenza impossibile, oppure l'uno cambierà l'altro?
Non ve lo dirò mai! ;)

Accennata la trama, vi posso dire che ho ritrovato molti aspetti fiabeschi in questo romanzo. Ad esempio mi ha colpito il modo in cui Imi vaga per le fitte strade di Londra. Mi ha fatto pensare alle piccole difficoltà che incontrano i protagonisti delle fiabe nei loro viaggi verso la realizzazione dei loro sogni. Inoltre io vi ho trovato anche l'elemento magico. Non parlo di fate o streghe, affatto. Eppure, quante volte ci rendiamo conto che qualcuno ha molti più mezzi di noi per raggiungere determinati obiettivi? Quante volte ci accorgiamo che la parola di qualcuno pesa molto più della nostra? Quante volte qualcuno riesce a smuovere mari e monti mentre noi non spostiamo neanche un sassolino. Non si tratta forse di magia? Secondo me è l'unica forma di magia rimasta in questo mondo disilluso e razionale in cui viviamo
.

Termino dicendo che ho amato il personaggio di Margaret Marshall. Toccante e commovente, senza che l'autore debba spendere parole pesanti e strappalacrime. Con stile semplice e diretto, è un carattere che mi è arrivato dritto nel cuore.
Spero di avervi incuriosito, questo romanzo merita!
Buona lettura e a presto!

Jessica.

giovedì 25 luglio 2013

Qualche parola in risposta alla recensione di Giovanni!

Buongiorno a tutti!
Come promesso nel mio ultimo post, ho intenzione di rispondere come posso alle parole che il mio collega e amico Giovanni ha speso per la mia opera. Cercherò di essere più eloquente possibile senza annoiare, però! Consiglio caldamente a chi non ha scoperto Anatema, pur avendone l'intenzione, di saltare questo post, o semplicemente rimandarne la lettura a quando avrà terminato il romanzo. :)

Non posso che cominciare la mia risposta parlandovi del destino e del ruolo che ho voluto dargli nella vicenda. Innanzitutto credo sia doveroso chiarire che non sempre, o meglio quasi mai condivido il punto di vista dei miei personaggi o le loro scelte. Come credo di avervi già accennato parlandovi di me, le storie che narro appaiono alla mia mente senza che io mi sforzi a crearle. Incontro persone nuove, conosco caratteri diversi e li riporto sul foglio. Per questo motivo, nella maggior parte dei casi, i personaggi non mi rispecchiano affatto. Chissà che non sia stato proprio uno dei protagonisti, a fornirci il racconto della vicenda sotto il suo punto di vista? Non aggiungo altro!

Il destino. Un insieme di leggi e coincidenze al di fuori della nostra portata e del nostro potere, oppure una massa informe facilmente modellabile dalle nostre azioni e dalle nostre scelte? Ognuno di voi potrà rispondere come crede. Quello che posso dirvi io, in relazione a come il fato viene presentato tra le pagine del mio romanzo, è che è da considerare quasi alla stessa stregua di un personaggio in carne ed ossa.

Immaginatevelo, vecchio, annoiato, tutto pieno di sé e della sua autorità di tiranno, senza che questa riesca più a stimolarlo ed entusiasmarlo come un tempo. Ha filato le vite di tutti, e se ne sta lì, mezzo assopito a guardare il trascorrere di esistenze che ha già predeterminato. Adele, col suo lavoro perfetto, il suo uomo perfetto, i suoi modi perfetti e la sua reputazione perfetta. Claudia con la sua vita priva di emozioni, col suo soffocante senso di colpa, col suo terrore di muovere anche solo un passo al di fuori della routine quotidiana. Tommaso col suo carattere poco malleabile, con la sincerità che è solita portargli più rogne che sollievi, col suo essere ribelle ingiustamente incasellato nell'irrequietezza adolescenziale.

L'arrivo in città di Tommaso costringe il destino a riaversi dal proprio torpore, a riprendere il controllo di una situazione che sembra sfuggirgli di mano giorno dopo giorno. Inizialmente il fato non è spaventato. Nessuno di quei miseri esseri umani avrà mai il coraggio di darsi una scossa. Si agiteranno inutilmente, per poi riprecipitare nella loro arida consuetudine. Eppure, una maschera perfetta può essere confusa con un volto vero, ma se iniziasse a presentare delle sottili crepe, chi ci crederebbe più?

Tommaso e Adele combattono contro le loro stesse esistenze, per dar vita a ciò che ormai gli stritola l'anima. Fanno tutto il possibile per dar voce a un sentimento tanto intenso quanto inatteso. Chi è il loro nemico? Il destino. Il vecchio che prova disperatamente a riprendere le redini delle loro esistenze. Il suo esercito è sterminato, ma Adele e Tommaso si accorgono di quanto disorganizzati e mal equipaggiati siano i suoi soldati. Possono vincere e ne sono consapevoli.

I due protagonisti trascorrono la notte insieme. Quella per loro è la vittoria più grande, il successo che verrà riportato negli annali come preludio dell'esito positivo del conflitto. La risposta del destino? Una risata, malvagia, quasi udibile dai due innamorati. Opporsi alle loro scelte non è servito a dividerli, anzi. La prossima mossa, sarà quella di assecondare il rapporto tanto sudato.

I sensi di colpa iniziano ad attanagliare Adele, che arriva quasi a sperare di essere scoperta dalla sua migliore amica, così che quest'ultima possa costringerla a porre fine a quel sogno che lei da sola non riesce ad abbandonare. Le incertezze della donna si riversano inesorabilmente su Tommaso, che cerca riparo in una relazione più facile e stabile. Sembra che nessuno riesca a scoprirli. E' questa la loro massima maledizione al loro imperdonabile affronto al destino. E' questo il loro anatema.

Un destino come quello che viene presentato nel mio romanzo, non presenta punti di debolezza visibili ad occhio umano. Lo scopo del fato è quello di riportare tutti alla situazione iniziale, costringere ognuno di loro alla vita che glie era sta affidata. Cancellare l'abominio generato dalle passioni incontrollabili dei due giovani animi. Può davvero il destino inserirsi silenziosamente nelle dinamiche della mente e nei gesti delle persone? Se anche riuscisse, potrebbe mai cancellare totalmente l'accaduto, strapparlo via dalla realtà?
I personaggi ci danno la loro visione, ogni lettore potrebbe dare la sua. :)

Il secondo punto su cui volevo brevemente soffermarmi era l'affermazione di Giovanni secondo cui scrivere il personaggio di Adele sia stato probabilmente più impegnativo per complessità e lontananza dalla mia vita, rispetto quello di Tommaso o degli altri ragazzi, più vicini a me soprattutto d'età. Beh, ad essere sincera, prima di gettarmi nella stesura del romanzo, il carattere che mi preoccupava di più era quello di Tommaso. Non ritengo di avere la stessa maturità di una donna di trentasette anni, assolutamente; eppure ero decisamente più in ansia nel cimentarmi nella psiche maschile, soprattutto di un adolescente, molto meno riflessivo e frenato di un eventuale adulto. Spero di essere riuscita a presentarvelo in modo decente! :)

Infine, Giovanni mi fa presente che Adele, piena di ansie e abissi apparentemente interminabili in cui sparire e improvvise scariche di terrore, viene tecnicamente colpita da veri attacchi di panico. Mi è stato chiesto se ne fossi a conoscenza o se fosse qualcosa uscito fuori soltanto dalla mia mente. A circa due anni dalla stesura di Anatema, potrei dirvi che anch'io ho attraversato un periodo poco piacevole in cui ho sofferto di forti ansie. Eppure è accaduto circa un anno dopo aver terminato il romanzo. Perciò non avevo mai provato niente del genere mentre scrivevo. Ma forse, senza saperlo, in me vi era già il germe che sarebbe poi degenerato in un periodo per niente roseo della mia vita!

Non voglio chiudere il post con parole spiacevoli, perciò rinnovo i ringraziamenti per i complimenti di Giovanni e, se qualcuno dovesse avere delle domande o se pensate che io abbia saltato qualche quesito o osservazione presente nella recensione, basta un commento e sarò felicissima di correre ai ripari!
Buona lettura e a presto! :)
Jessica.


domenica 21 luglio 2013

Anatema recensito da Giovanni Garufi Bozza!

Salve a tutti!
Diversamente da quanto avevo pensato e accennato, prima che io recensisca il libro che ho letto per quel concorso letterario, vi riporterò le parole che Giovanni Garufi Bozza (autore di Selvaggia. Chiaroscuri di personalità) ha gentilmente speso per il mio romanzo!
Oltre alle righe che riguardano Anatema, allegherò anche il link del blog di questo giovane autore, dove chi è interessato potrebbe trovare numerose recensioni e interviste ad altri scrittori. Vi invito a visitarlo!
Ed ora do "voce" a Giovanni. :)

Cara Jessica,
scrivo questa recensione in forma di lettera, così da parlarti in modo schietto e diretto di ciò che il tuo romanzo mi ha ispirato. Sono di ritorno a casa con un treno e ho appena chiuso l’ultima pagina di Anatema. Ho la fortuna di avere il computer appresso e dunque posso mettere per iscritto le sensazioni a caldo.
Il tuo romanzo mi ha fatto compagnia per tre giorni e devo dire che mi ha tempestato di emozioni.

Innanzitutto, hai davvero talento nello scrivere e per questo ti faccio i miei più sinceri complimenti. Il tuo stile è molto scorrevole e sai trasmettere le emozioni dritte nel cuore del lettore. L’idea di stendere dei capitoli molto brevi è davvero vincente, specie se accostata alla tua scelta al saper interrompere la narrazione al punto giusto, in quel preciso istante in cui il lettore si ritrova con un groppo alla gola e deve necessariamente voltare pagina per proseguire la narrazione, per vedere come la vicenda si svolge.
E’ una storia intricata, un amore impossibile tra età diverse che è continuamente sfidato da un conflitto tra razionalità e irrazionalità, tra mente e cuore. Spesso te la prendi con il destino beffardo, quasi dominasse le scelte dei personaggi per buona parte del libro, solo alla fine consegni al lettore l’idea che siamo noi artefici dello stesso. Mi  è sembrato curioso, e qui mi viene una domanda, che Destino sia il nome che tu dai a quel tumulto di sensazioni ed emozioni che dominano l’irrazionalità dell’innamoramento, quasi dargli un nome del genere consegnasse quella stessa irrazionalità a un terzo forse non colpevole.
Ti confesso che ho vissuto una vicenda in parte simile e, rispecchiandomi un po’ in Tommaso, l’irrazionalità di quei sentimenti era tutta interna a me, o meglio al noi della strana coppia che si era creata. Facile era consegnare la colpa al Destino, quando era quella parte interna che spesso i poeti chiamano Cuore ad essere il motore di tutto.
La domanda è, dunque, il Destino è il reale colpevole o piuttosto l’alibi di certi amori?

Bellissimo l’intreccio che hai creato, ma soprattutto mi piace elogiare le sensazioni e le emozioni che sei riuscita a dipingere in questa storia. È facile far leggere delle emozioni al lettore, difficile è fargliele provare dentro, trasmettendogliele attraverso parole scritte e ben intrecciate tra loro, che si tratti di passione, o paura o ansia.
In tal senso Adele è il tuo personaggio più ben riuscito, il panico che spesso la coglie nel non riuscire ad affrontare le scelte della sua età, la sua paura, il fuoco che le arde dentro, lasciandola completamente disidratata sono stati descritti in modo mirabile. Non che le sensazioni, le emozioni, la rabbia e l’ardore di Tommaso siano da meno, ma credo che sia più facile per te descrivere l’universo dei sentimenti di un coetaneo, per quanto di sesso opposto, che di una donna più grande, di fronte a scelte che la bloccano.
Questa capacità tradisce tanto la tua bravura come narratrice di emozioni, quanto la tua capacità a immedesimarti nei tuoi personaggi, a prescindere dalla loro età o dalle differenze che hanno con  te. Anche il personaggio che appare alla fine, Giulia o la stessa Elisa, probabilmente erano più facili da descrivere per le loro emozioni, essendo tue coetanee: con Adele ti sei superata.
Non so se lo sapevi, se è voluto o se è stata la tua dote di immersione empatica e la tua capacità di riversarla su carta, ma gli sfoghi che spesso dipingi in Adele sono dei veri e propri attacchi di panico. Spesso essi sono dei campanelli di allarme che rivelano una situazione in cui chi ne soffre si ritrova sospeso sulla porta, o bloccato di fronte ad un bivio. Entrare e uscire da quella porta o girare alla destra o alla sinistra di quel bivio è una scelta troppo grande per la persona, che si riempie di angoscia fino ad esplodere.
Non so se lo sapevi o meno: se ne eri al corrente, sei stata bravissima a rendere l’idea di questa situazione di Adele,  a descrivere il suo blocco di fronte alla vita e la relativa angoscia, celata da maschere ben costruite per stare nel mondo e in relazione con gli altri; se ignoravi la cosa, sei stata doppiamente brava, perché ti sei completamente immedesimata nel tuo personaggio.
Cito un ultimo messaggio che mi hai trasmesso, di altro avremo modo di parlare di persona, ma se cito tutto rischia di non essere più una recensione ma un trattato su Anatema, che non incuriosirebbe più il lettore come spero che faccia.

È sicuramente un romanzo che vale la pena condividere per le emozioni che fa vivere al lettore (sottolineo il vivere: non le trasmette, le fa proprio vivere), ma c’è un messaggio tra le righe che io ho trovato e che mi ha molto colpito, perché forse è il legame tra noi che ci ha fatto apprezzare l’uno il testo dell’altro. Possiamo indossare tante e mutevoli maschere nella nostra vita, celare in vario modo il maremoto che abbiamo dentro. Possiamo convincerci che quelle maschere riescano a farci stare nel mondo e in relazione con l’altro. Ma prima o poi arriverà sempre colui o colei che ce le farà crollare una ad una, perché capace di leggerci dentro, nell’intimo, con uno sguardo che va ben oltre le iridi. ;)
In bocca al lupo per tutto, complimenti, non smettere mai di promuoverlo perché vale la pena farlo conoscere al pubblico.
Innanzitutto voglio ringraziare Giovanni per queste righe in quanto mi hanno fatto un piacere immenso. Questo mio amico e collega ha posto dei quesiti a me e a tutti voi lettori, che secondo me meritano una risposta. Io di sicuro darò la mia e la pubblicherò a giorni. Spero che anche voi vogliate dire la vostra, indipendentemente dalla lettura del mio romanzo. Giovanni ci pone delle domande molto generali e, partendo dalla vicenda di Anatema, fa riferimento alla realtà di chiunque. Mi farebbe molto piacere se ognuno di voi scrivesse la sua opinione in un commento a questo post... e se vi va, potrete commentare anche direttamente sul blog di Giovanni! :)
A presto!
Jessica.

giovedì 18 luglio 2013

Rieccoci!

Salve a tutti,
dopo più di un mese di silenzio sono tornata a scrivervi. Per quale motivo ho taciuto così a lungo? Beh, senza dilungarmi troppo in spiegazioni che a quelli di voi che non mi conoscono apparirebbero parole inutili, posso dirvi semplicemente che non è stato un gran bel periodo. Sia per chi ho perso che per ciò che ho perso.
Torno a spiattellare qualche parola su questo foglio con uno spirito diverso, purtroppo o per fortuna. Torno a riempire, spero piacevolmente, i minuti di chi si fermerà a leggere questo mio post, con una consapevolezza diversa.

A volte si hanno periodi un po' difficili, che troppo spesso pesano più di quelli felici, anche se durano meno. Si può avere una vita meravigliosa, ma anche solo un mese più arduo, in cui non si riesce a sorridere con la stessa facilità di prima e tutto sembra incrinato, segnato per sempre come un viso rigato da una ruga di vecchiaia.
Poi ci sono i momenti di ripresa, quelli ricchi di entusiasmo in cui ci si convince di poter fare tutto ciò che prima sembrava impossibile, o forse anche di più! Poi se si inciampa di nuovo, diventa piuttosto difficile raccogliere tutta l'allegria e la forza di volontà che ci è caduta dalle mani nello scivolone.

Posso dirvi che io la sto raccogliendo proprio ora e ho deciso di farlo insieme a voi, scrivendo in questo blog i miei pensieri. E non mi interessa se persone di una certa età leggendomi, possano credere che mi stia lamentando troppo per la mia età, o cose del genere. No, non mi importa proprio.
Ho sempre pensato che i problemi e tutto ciò che preoccupa o rattrista qualcuno, dovrebbero essere rispettati. A volte si fa fatica, è vero; ma non è necessario condividerli. E' giusto rispettare chi ha problemi che ci appaiono stupidi, così come è giusto invidiare un pochino la sua vita quasi perfetta.

Io ho ventidue anni e di sicuro se inizio a guardarmi intorno scovo molte più persone in una situazione peggiore, piuttosto che migliore. E non parlo del benestare economico o materiale; mi riferisco al complesso.
Eppure ognuno di noi deve occuparsi prima di se stesso. Ognuno di noi dopo una giornata, un mese, due mesi andati storti, si impegna a raccogliere i propri cocci e a rimetterli insieme per dare un aspetto decente alla propria facciata. Tutto ciò, in attesa che accada qualcosa, che arrivi qualcuno in grado di donarci una facciata nuova; senza crepe e magari anche un po' più sincera.

Ho ventidue anni e come tanti giovani in questo periodo faccio il conto dei sogni che non posso perseguire per mancanza di prospettive, quelli che non posso realizzare per (momentanea) assenza di coraggio, e quelli che rimangono e che sono costretta a far passare per desideri di prima classe.
"Andate all'estero" ci dicono le persone colte e intelligenti. Io direi più colte che intelligenti, forse. Non è facile recidere le radici così, come si strappa un misero foglio di carta. Non per essere mammoni o quei maledetti clichés che etichettano noi italiani. Per semplice affetto. Quello che ti lega alla famiglia, agli amici e all'amore. Quello che ti fa combattere e stringere i denti per assicurarti lo stesso futuro in un paese in ginocchio, come lo hanno potuto sognare i propri genitori.

Non si tratta di uno sfogo. Giovani, disoccupazione, emigrazione costretta all'estero sono argomenti che alla fine avreste potuto trovare in qualsiasi talk show pomeridiano di bassa lega. Era solo per riprendere le fila di questo blog che per troppo tempo mi è sfuggito di mano.

A breve la recensione di un libro che ho letto come giurato popolare del premio Fenice e poi la recensione di Anatema da parte di un mio amico e collega... ma sì, lo conoscete anche voi! Si tratta di Giovanni Garufi Bozza, l'autore del romanzo che ho recensito, Selvaggia. I chiaroscuri di personalità.

A presto.. e questa volta per davvero! ;)
Jessica.